“L’insegnamento che ci ha lasciato la perdita del Titanic è la sconfitta della superbia dell’uomo che credeva di aver realizzato qualcosa che la natura mai avrebbe potuto distruggere..ed invece non fu così”. Questi e tanti altri spunti originali e di notevole interesse si sono susseguiti durante la conferenza stampa di presentazione dell’esposizione “Titanic – Dal cantiere all’oceano”, inaugurata sabato 14 aprile alle 18.30 presso il centro commerciale “Il Giulia” di Trieste. “La mostra – dichiara il curatore Claudio Luglio - vuole essere un modo originale di rievocare il centenario in quanto l’attenzione è rivolta verso coloro che hanno contribuito a realizzare la nave ma che spesso vengono dimenticati da cronache e film”.
Il cuore dell’esposizione è costituito da 40 immagini che immortalano appunto le fasi di lavorazione del Titanic e gli operai all’interno dei cantieri Harland & Wolff di Belfast. Le foto provenienti dall’archivio storico di Maurizio Eliseo, sono le stesse che compaiono nel libro da cui prende il nome la mostra (Titanic – dal cantiere all’oceano) scritto da Gaetano Anania. L’autore ha saputo raccontare la tragedia del transatlantico in maniera assolutamente originale, ovvero sotto forma di diario scritto da William Walsh, studente di ingegneria navale che riesce prima a seguire i lavori di costruzione del transatlantico e poi ad imbarcarsi sullo stesso per il viaggio inaugurale. Il personaggio è inventato ma l’ambiente in cui si muove, grazie alle ricostruzioni degli storici, è stato reso preciso e coincidente con la realtà dei fatti.

Matteo Martinuzzi, storico navale, ha poi spiegato come nei primi anni del XX secolo le due più grandi potenze marittime dell’epoca, Gran Bretagna e Germania, perseguissero entrambe l’obiettivo di costruire navi sempre più veloci, lussuose e di dimensioni importanti.
All’inizio del ‘900 il primato apparteneva ai tedeschi che avevano fabbricato l’imbarcazione più veloce e grande; in risposta, nel 1907, la Cunard Line mise in linea le grandi turbonavi Lusitania e Mauritania che polverizzarono i record precedenti. A questo punto entrò in scena la compagnia White Star Line (controllata da produttori statunitensi) che decise di competere costruendo delle navi che primeggiassero in fatto di lusso, comfort e sicurezza. Così negli stabilimenti di Harland & Wolff presero forma tre importanti transatlantici,Olympic, Titanic e Gigantic (dopo la tragedia che colpì il secondo fu rinominato Britannic), tutti purtroppo accomunati da un triste e sfortunato destino. L’Olympic infatti ebbe tre gravi incidenti, il Gigantic venne affondato durante la Prima Guerra Mondiale e il Titanic è storia nota.

In merito, Martinuzzi ha spiegato anche le cause del disastro, attribuibili alla velocità troppo elevata (21 nodi), al tratto di mare noto per la sua pericolosità e predisposizione alle formazioni di ghiaccio, al mare calmo e il cielo senza luna che non permisero l’identificazione del riflesso dell’iceberg ed infine l’impreparazione delle vedette che erano sprovviste di binocolo. Un altro fatto evidenziato dallo storico è la scelta del primo ufficiale William Murdoch, che decise di virare a sinistra e mettere le macchine indietro tutta; la manovra scoprì il fianco destro della nave esponendolo completamente all’iceberg. Se l’impatto con il ghiaccio fosse avvenuto di prua i danni conseguenti avrebbero comunque permesso il galleggiamento del transatlantico.

Ciò che ancora, dopo un secolo, lascia le persone basite è il numero delle vittime. Oltre 1500. A bordo del Titanic infatti vi erano solo 16 lance di salvataggio; i regolamenti del tempo prevedano quel numero di scialuppe per navi da 10000 tsl, il transatlantico ne pesava 42000 tsl.. Quando però Thomas Andrews (il progettista della nave) propose di aggiungerne altre, l’idea fu bocciata per motivi economici ed estetici; alle 16 scialuppe furono comunque aggiunte 4 zattere per un totale di 1178 posti, molti di più dei 705 sopravvissuti. Cosa successe allora? Il numero così alto di vittime è attribuibile essenzialmente ad errori durante le operazioni di abbandono della nave (che risultarono confuse e disorganizzate) e a scialuppe ammainate senza passeggeri. Come se non bastasse, il marconista della nave Californian (bloccata nei pressi del Titanic a causa del ghiaccio), quella teriribile notte spense la radio e non udì le richieste di soccorso. L’equipaggio che vide invece i fuochi sparati come SOS, li considerò come fuochi d’artificio di festa.

Oggi rimane solo uno scarno relitto inabissato a testimoniare l’esistenza di quella nave da favola e dei sogni dei suoi passeggeri.

A cura di Vanessa Da Ros