La Mitilicoltura nel Golfo di Trieste è un’attività sostenibile che non danneggia gli ecosistemi, poiché insiste su risorse rinnovabili consumandole a un tasso compatibile con la capacità produttiva e di rigenerazione dell’ambiente.

Sono alcune delle conclusioni cui è giunto uno studio durato due anni, realizzato da 23 ricercatori dell’OGS, l’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale e finanziato dalla Regione Friuli Venezia Giulia - servizio investimenti aziendali e sviluppo agricolo, Direzione Centrale Risorse Agricole Naturali Forestali e Montagna, nell’ambito del programma Innovazione.

Lo studio, descritto in un corposo volume ricco di dati, statistiche e immagini, verrà presentato lunedì 29 novembre presso l’ittiturismo del Villaggio del Pescatore, alle ore 16.00 nel corso di un incontro a cui parteciperanno anche esponenti della Regione FVG e della realtà produttiva locale.

Che cosa emerge dalla ricerca appena conclusa? "Abbiamo quantificato una serie di parametri critici - dice Paola Del Negro che ha partecipato allo studio - che ci permettono ora di caratterizzare la produttività potenziale, l'impatto ambientale e la sostenibilità ambientale della mitilicoltura nel Golfo di Trieste".

La ricerca è stata suddivisa in quattro macro-temi che hanno analizzato: le alterazioni ambientali rilevabili; le relazioni fra mitilicoltura ed ecosistema (dieta del mitilo e sue biodeposizioni); le potenzialità produttive; e le implicazioni socio economiche attraverso analisi del settore. I mitili occupano una superficie di circa 300 ettari di golfo dati in concessione agli operatori, lungo un profilo costiero di circa 15 km che vede nei tre siti di Panzano, Grignano-Sistiana e Muggia le centrali produttive. Di 1100 filari totali sono produttivi circa 1000, perché i rimanenti vengono usati per effettuare manutenzione o per allevare il novellame. Complessivamente, la produzione annua ammonta a 3500 tonnellate.

Per capire quale fosse l’impatto ambientale sul sedimento, i ricercatori hanno confrontato 4 diverse tipologie di siti: un impianto in funzione da 5 anni, uno già molto sfruttato (10 anni), uno dimesso e un sito mai usato per fini di mitilicoltura. "I mitili - spiega Del Negro - si alimentano di particelle organiche sospese, consumando circa 1600 tonnellate l’anno di materia. Di questo particellato, il plancton costituisce meno del 10%. Inoltre, sono in grado di selezionare alcune specie che risultano più gradite dal punto di vista alimentare". I mitili, oltre a consumare, producono anche residui organici (feci) per circa 1200 tonnellate l’anno, ma queste in parte si degradano velocemente, e in parte si depositano sul fondo, arricchendolo di materia organica. Si tratta di un impatto non permanente, ma reversibile quando l’attività viene dimessa.

"L’enorme quantità di dati che abbiamo raccolto - dice Cosimo Solidoro, coordinatore della ricerca - ci permette una lettura a 360 gradi della mitilicoltura in regione consentendoci anche di effettuare pianificazioni per il suo sviluppo futuro". Dall’indagine, infatti, emergono anche alcune problematiche percepite dai mitilicoltori. Le 16 imprese operative mettono in evidenza alcune criticità che investono il settore: si va dai problemi sanitari, al basso prezzo del prodotto, a un eccessivo carico burocratico, ai costi elevati delle concessioni, che devono fare i conti con una forte concorrenza estera.

"Integrando, come è stato fatto, aspetti ambientali, ecologici, sociali ed economici della mitilicoltura - conclude Solidoro - abbiamo ricavato indicazioni gestionali utili per pianificare questa attività e per realizzare una gestione integrata della costa giuliana. I risultati suggeriscono inoltre che l’aumento della temperatura dell’acqua relazionabile ai cambiamenti climatici rischia di sfavorire la produttività degli impianti, causando tempi di allevamento più lunghi e ponendo potenziali problemi alla fase di reclutamento naturale del seme".

Non vi è dubbio che questa attività, storicamente radicata nel tessuto sociale delle comunità costiere, contribuisce a mantenere vive tradizioni locali e produce un impatto ambientale limitato e reversibile nel tempo. Rappresenta quindi un esempio paradigmatico di attività economica ecologicamente sostenibile, un'attività da salvaguardare, ed eventualmente potenziare (il 50% dei mitilicoltori si è detto favorevole al potenziamento), nell’ottica di una gestione integrata della zona costiera.