A qualche giorno dalla tragedia della Costa Concordia, ed assorbite, almeno parzialmente, le comprensibili reazioni emozionali, vale la pena fare un po’ di chiarezza ed informazione attorno al prodotto crociera.
Come gli addetti ai lavori sanno, la crociera è l’unico tra i prodotti turistici a non aver conosciuto battute d’arresto in un percorso di crescita, nelle vendite e nei consensi, partito, quantomeno in America, a fine anni ’60 e sviluppatosi nei decenni successivi grazie al lavoro e all’investimento di compagnie e gruppi crocieristici, di aziende portuali, di cantieri, e di altre realtà il cui impegno è essenziale nella costruzione del prodotto stesso.

Se tra le ragioni di tale successo figurano senza ombra di dubbio una serie di indovinate scelte di marketing da parte delle compagnie - dal prodotto costantemente innovato e diversificato ad una politica di prezzo in grado di trovare un equilibrio particolarmente funzionale tra propensione alla spesa del cliente e redditività dell’azienda - va annoverata tra esse anche la sicurezza che questi grandi impianti di navigazione (“giganti del mare” è sempre più frequente sentirli definire) hanno saputo garantire, ed a dimostrazione della quale vi sono numeri e statistiche che non lasciano spazio a dubbi. Negli ultimi anni l’episodio più tragico ha visto protagonista la Bulgaria, una piccola e vecchia nave di crociera fluviale, pertanto ben lontana dalle caratteristiche e dagli standard delle moderne navi da crociera, che nel luglio 2011 è affondata lungo il Volga durante un temporale, con un bilancio di 116 vittime sui 208 presenti a bordo (sembra peraltro che la nave non fosse più autorizzata al trasporto passeggeri); tra le grandi, invece, vi è il caso della Sea Diamond della Louis Cruise Line, che il 6 aprile 2007 è affondata a Santorini dopo aver speronato uno scoglio ed essersi incendiata, con un bilancio di due vittime; nel 1999 la Sun Vista della compagnia Sun Cruise prese fuoco ed affondò nello stretto di Malamacca in Indonesia ma nessuna delle oltre mille persone a bordo perse la vita; nel 1994 l’Achille Lauro si incendiò ed affondò al largo delle coste Somale e persero la vita due crocieristi; poi vi sono casi di navi affondate senza la presenza di passeggeri e senza vittime, al punto da ingenerare dubbi sulle cause degli incidenti per via delle ricche polizze assicurative e delle condizioni economiche nelle quali versavano gli armatori protagonisti di questi episodi. Secondo una recente nota pubblicata dagli analisti di G.P.Wild, dal 2005 al 2011 sono 16 le morti addebitabili ad incidenti capitati a navi da crociera regolarmente autorizzate a svolgere questo tipo di attività su un totale di oltre 98 milioni di passeggeri trasportati nello stesso periodo. Il rispetto di anche solo una vita umana renderebbe fuori luogo confronti con casistiche e report relativi ad altri mezzi di trasporto utilizzati anche per turismo – dall’aereo al treno fino agli autobus - ma è fin troppo evidente che qualsiasi attribuzione alla nave da crociera di una caratteristica di “pericolosità” è fuori da ogni logica.

La produzione e il turismo crocieristici rappresentano per il nostro Paese una grandissima risorsa. Solo chi non conosce – perché magari si occupa di tutt’altro – questi fenomeni, o chi, molto peggio, crede di conoscerli solo perché ha raccolto qualche dato qua e là, può pensare di affermare il contrario. I numeri presentati da Risposte Turismo nel corso di Italian Cruise Day lo scorso 28 ottobre a Venezia testimoniano una vitalità senza pari che deve essere considerata un vanto ed un motore di crescita per l’Italia. Nel 2011 nei porti della penisola interessati da traffico crocieristico sono transitati più di 11 milioni di passeggeri, con un incremento del 17% circa sull’anno precedente; in un confronto europeo riferito al 2010, l’Italia è nettamente il primo Paese per gli imbarchi, con il 35% del totale continentale, nonché come destinazione, con il 21,4% del totale del traffico nei cosiddetti port of call, le tappe intermedie degli itinerari. Civitavecchia e Venezia sono ormai nella top 10 dei porti crocieristici mondiali, con la prima ad aver ormai pressoché raggiunto Barcellona in Europa e la seconda ad essere la prima in assoluto per imbarchi e sbarchi; assieme ai due citati anche Livorno e Savona hanno raggiunto o sfiorato il milione di movimento passeggeri.

Qualcuno obietta che tali numeri avvantaggino esclusivamente le compagnie di crociera, che con le loro politiche cercano di trattenere a proprio beneficio una quota pressoché totale del volume di spesa dei crocieristi, che per le località interessate dagli itinerari diventerebbero unicamente un peso da sopportare. Se da un lato va senza dubbio riconosciuto che tra le questioni da affrontare in futuro per garantire ulteriore sviluppo al settore figura la ricerca di un più funzionale equilibrio costi-benefici tra compagnie, porti e territori, dall’altro è ancora una volta incontrovertibile - e numerosi sono gli studi che lo dimostrano - come i crocieristi, sebbene con non poche differenze all’interno, lascino ricchezza nelle località inserite negli itinerari, contribuendo a generare ricadute dirette, indirette e indotte per i sistemi economici locali. E a tale vantaggio va aggiunto quello promozionale, determinato dall’incontro tra destinazioni e crocieristi che possono essi stessi scegliere di visitarle nuovamente in un futuro - questa volta magari con un’altra veste di turista, non per forza come crocierista - o consigliarne la visita ad altri. E se, in Italia come nel mondo, il tasso di crescita delle località che hanno investito per rendere i propri porti degli scali crocieristici è particolarmente elevato (solo in Italia si è passati dai 18 terminal dedicati del 2000 ai 38 previsti nel 2012), non sarà certo per una comune volontà di favorire le compagnie di crociera!

Va poi ribadito come la crocieristica sia, prima ancora che turismo, produzione, e pertanto si andrebbe a contemplare solo una dimensione dell’intero fenomeno se ci si limitasse ai dati sul traffico nei porti e sulla spesa sostenuta dai crocieristi nel territorio. Cantieri, agenzie marittime, società di escursioni, compagnie aeree, agenzie viaggi e tour operator, società di catering, una lunga serie di altre attività solo apparentemente scollegate dalla produzione crocieristica. L’edizione 2011 - riferita all’anno 2010 - dello studio annuale dell’European Cruise Council indica in 14,5 miliardi di euro circa il totale delle spese dirette in Europa determinate dalla produzione e dal turismo crocieristici, cifra che supera i 35 se si sommano ad esse gli effetti indiretti e indotti. Dei 14,5 miliardi, 4,5 (oltre il 30%, in crescita del 5% circa rispetto al 2009) ricadono sull’Italia, con un contributo all’occupazione nei diversi settori interessati da tale fenomeno stimato in oltre 99.000 posti di lavoro (il 32,1% del totale europeo). Se l’Italia, così come Regno Unito e Germania (al secondo e terzo posto della classifica ma decisamente staccati, con rispettivamente 2,5 e 2,3 miliardi di euro di spesa diretta generata), beneficia di tali risultati è perché, informa l’European Cruise Council, si caratterizza non solo per essere destinazione e origine di flussi crocieristici, ma anche per avere all’interno dei propri confini nazionali quartier generali di più compagnie, qualificati e importanti cantieri navali attivi tanto nella costruzione di nuovi impianti quanto nella loro riparazione, una serie di aziende impegnate nell’assistenza e rifornimento alle navi, e per creare conseguentemente numerose opportunità occupazionali.

È evidente pertanto come il fenomeno vada inquadrato e analizzato nella sua interezza, riconoscendo, appunto, la dualità di produzione e turismo crocieristici: solo in questo modo è possibile comprendere la rilevanza straordinaria che il comparto ha per l’Italia. L’attività delle due principali compagnie di crociera nella classifica di traffico generato per i porti italiani, Costa Crociere e MSC Crociere, assicura ricadute di assoluto rilievo sul sistema economico italiano. Lo studio che realizza per la prima il Politecnico di Milano indica, per il 2010, in 2,2 miliardi di euro il totale degli impatti diretti, indiretti e indotti sull’Italia, mentre si attesta su 1,5 quello che la Fondazione Ca’ Foscari di Venezia ha calcolato per il 2009 con riferimento alla seconda. E molte altre significative grandezze si scoprono se si vanno ad analizzare bilanci e processi produttivi di altre realtà - dai cantieri, appunto, alle aziende portuali - coinvolte in questo particolare business.

La crociera come forma di vacanza, e l’industria che le è alle spalle, hanno dimostrato di sapere reggere ad una serie di sfide particolarmente rilevanti determinate da episodi congiunturali di particolare gravità. Dalla guerra del golfo agli attentati dell’11 settembre, dai conflitti nella ex Jugoslavia alla crisi economica mondiale che, sebbene tuttora in corso, ha già più di tre anni all’attivo, anni durante i quali il volume di domanda crocieristica mondiale è passato dai 15,9 milioni del 2007 ai 18,8 milioni del 2010 che le prime stime danno sopra i 20 per l’anno appena concluso. Da questi precedenti può essere ricavato un ragionevole ottimismo sul percorso che la produzione e il turismo crocieristici in Italia effettueranno da qui ai prossimi mesi, puntando a risultati che potranno essere raggiunti, ancora una volta, con l’impegno da parte di tutti gli operatori e il consenso e la fiducia da parte di un mercato che non può - e siamo convinti non lo farà - cambiare abitudini e preferenze per via di un grave fatto di cronaca.


Francesco di Cesare
presidente di Risposte Turismo, Curatore di Italian Cruise Day