Nasce AdriaticSeaObservatory: AdriaticSeaNetwork.it apre uno spazio di dialogo e di confronto con i giornalisti che seguono per alcune testate l’economia del mare, lo shipping, la cantieristica e la logistica. L’obiettivo è raccogliere punti di vista e riflessioni di chi, ogni giorno, per lavoro e per passione, racconta la blue economy.

La rubrica è curata da Nicola Comelli. Giornalista, goriziano, da sempre appassionato di mare, ha scritto, tra gli altri, per Il Sole 24 Ore (dorso Nordest) e Il Piccolo, occupandosi di economia e intermodalità. Oggi vive a Milano e lavora come consulente in comunicazione d’impresa.



“Tutte le iniziative che, nell’ambito della logistica, puntano a dare vita a piattaforme comuni vanno accolte positivamente. Però esiste un problema di fondo: questo Paese sottovaluta ancora l’importanza della logistica”.

Genovese di Recco, Fabio Pozzo da anni racconta quello che accade sul mare, a 360 gradi: dalla cantieristica alla nautica, alle crociere.
Oggi lo fa per La Stampa, però nel suo passato non manca un’esperienza “adriatica”, a Trieste, nella redazione de “Il Meridiano”. 

Partiamo proprio dall’Adriatico: negli ultimi anni gli sforzi per fare sistema sono stati molti e la creazione della Napa è il frutto più importante di questo lavoro. Ma è sufficiente per fare di questo mare, e in particolare del suo quadrante settentrionale, una piattaforma realmente competitiva a livello Mediterraneo? 

“Faccio una premessa: in questi anni abbiamo assistito a diverse iniziative di concentrazione di strutture e impianti. Ritengo, in termini generali, che questi processi siano positivi. Tuttavia, abbiamo un problema di fondo, che va affrontato: in questo Paese, la sensibilità della classe dirigente per la logistica e per lo shipping sta scemando di anno in anno. Ormai è materia solo per gli addetti ai lavori. E oggi, se non si ha la capacità di far emergere, anche sotto il profilo della comunicazione, determinate esigenze e determinate complessità, si finisce per essere ignorati dalla politica e da chi prende le decisioni strategiche a livello di sistema-Paese”.

E’ questo il principale problema “competitivo”? Ovvero, manca un approccio strategico per drenare traffici sui nostri scali?


“Sì, ne sono convinto. Le condizioni ci sono, a cominciare dalle miglia a nostro favore rispetto ai porti del Nord Europa sulle rotte del Far East. Ma manca quell’approccio “di sistema” che fa la differenza tra la capacità di attrazione di traffici di un singolo porto e la competitività che è in grado di esprimere un Paese intero”.

A proposito di singoli porti, storicamente l’Italia sconta un alto grado di concorrenza dei suoi scali. Come giudica questa frammentazione?

“Siamo il Paese dei campanili, ed era inevitabile che questo si riflettesse anche sul comparto della logistica. Oggi paghiamo le conseguenze dell’assenza di una cabina di regia che avrebbe dovuto rendere più ordinato questo panorama. E il fatto che altri paesi mediterranei, che magari fino a poco tempo fa sottovalutavamo, come il Marocco o l’Egitto abbiano invece investito con intelligenza sulle reti infrastrutturali, rende questo problema ancora più evidente”.

Tornando all’Adriatico, non si può non affrontare la questione di Venezia e della navi da crociera. Che idea si è fatto sulle polemiche, le proteste e le prese di posizione che ci sono state in questi ultimi due anni?

“Penso che il Paese, e quindi anche Venezia, non possano permettersi di rinunciare all’industria delle crociere. A Venezia però c’è un problema di convivenza. Voglio essere ottimista: credo che una soluzione capace di salvaguardare la città, la sua fragilità e la sua unicità, permettendole comunque di non perdere il flusso di turisti assicurato dalle navi bianche, sia possibile. Non so se quella del canale di Sant’Angelo Contorta possa essere la soluzione definitiva, penso però che rappresenti un passo avanti rispetto al traffico lungo il Bacino di San Marco”.

Se si parla di crociere bisogna per forza parlare anche di Fincantieri. Il gruppo guidato da Giuseppe Bono, in questi ultimi anni, ha dimostrato di saper rispondere alle sfide del mercato globale. Tuttavia, ciclicamente, emergono delle perplessità sull’articolazione della sua struttura a livello nazionale e la possibilità di una sua razionalizzazione. A suo avviso, la geografia della cantieristica nazionale è destinata a mutare?

“Fincantieri è un’eccellenza del nostro Paese: le acquisizioni all’estero hanno permesso di diversificare il business e questo ha dato solidità all’interno gruppo. Sono dell’idea che si debba attendere il completamento di questo percorso di evoluzione. C’è da dire che i diversi poli italiani hanno acquisito una loro fisionomia ben precisa: le crociere in Adriatico, le unità militari in Liguria, i grandi lavori di manutenzione a Palermo.

Infine, i rigassificatori: negli ultimi anni, se ne è parlato molto. A suo avviso, come possono integrarsi con l’attività portuale. Esistono dei problemi? Questo genere di strutture possono effettivamente rappresentare un asset sul quale il sistema – Paese dovrebbe puntare?

Il mercato dell’energia sta cambiando completamente, e quanto sta accadendo negli Usa con lo shale gas lo dimostra. E’ chiaro che esiste un problema di sicurezza per questi impianti, e non può essere in alcun modo sottovalutato. Vale il ragionamento che avevamo fatto per Venezia e le Grandi navi: vanno trovate delle soluzioni capaci di tutelare la sicurezza e l’ambiente e, al tempo stesso, permettere al Paese di non rimanere ai margini di un mercato che ha importanti riflessi anche a livello geopolitico.

A cura di Nicola Comelli