Per capire che cosa sta succedendo agli oceani e in che modo essi rispondano ai cambiamenti climatici non è sufficiente armarsi di buona volontà e analizzare siti marini opportunamente scelti. Spesso, infatti, i dati raccolti da Istituti diversi non sono confrontabili. Per ovviare a questo grosso problema metodologico è nato due anni orsono il Network Europeo EuroSITES, che riunisce 13 laboratori europei di oceanografi provenienti da sette Paesi diversi. L’Istituto nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale – Ogs di Trieste è il coordinatore del Network, che ha concluso giovedì 22 aprile il suo convegno annuale nel capoluogo giuliano.

Quali i risultati dei primi due anni di lavoro? "Siamo riusciti a creare una rete di undici stazioni permanenti - dice Vanessa Cardin, ricercatrice e coordinatore Ogs di EuroSITES - undici piattaforme per il monitoraggio in continuo dell’Oceano Atlantico settentrionale, meridionale e del Mar Mediterraneo. E disponiamo di una serie di strumenti che "parlano la stessa lingua". In altre parole, strumenti che effettuano le analisi lungo la colonna d’acqua - dalla superficie fino al fondale marino (in Adriatico fino ad una profondità di 1200 metri) - usando esattamente la stessa tempistica e gli stessi parametri di riferimento. Così ogni dato è davvero confrontabile a quello raccolto da colleghi lontani". Tra le stazioni collocate in siti selezionati per tipo di correnti, profondità o caratteristiche chimico-fisiche ve ne sono sei in Mar Mediterraneo: due sono italiani, due francesi e altrettante di nazionalità greca.

"Tutte le stazioni sono in rete fra loro, e così pure i laboratori da cui dipendono, tant’è vero che facciamo spesso aggiornamenti sul progredire dei lavori collegandoci in conference call" aggiunge Cardin.
Le attività del Network sono riconosciute e apprezzate anche a livello internazionale, ed EuroSITES è ora membro della rete mondiale OceanSITES. Oltre che sull’omogeneità dei rilevamenti, nell’ambito del progetto sono state sviluppate strumentazioni innovative che consentono di registrare alcuni parametri marini indispensabili per interpretare i cambiamenti climatici. "Si tratta di misuratori dell’ossigeno disciolto in acqua e di strumenti chiamati piaccametri, ad altissima precisione e di nuova concezione rispetto a quelli standard, che registrano l’acidità del mare. Nel caso dei misuratori di O2, il dato che raccogliamo è estremamente importante perché se individuiamo zone con poco ossigeno sappiamo immediatamente che lì il ricambio d’acqua è scadente o ridotto, cosa che indicherebbe, tra l’altro, uno scarso rinovo di acque in quelle zone". Quanto al pH, è noto che piccole differenze di acidità possono produrre grandi alterazioni negli ecosistemi.

Nota ecologica delle attività del Network: "Cerchiamo di riunirci di persona il meno possibile, per non dover prendere aerei e contribuire alle emissioni di CO2 in atmosfera - dice Cardin - e per questo facciamo il punto della situazione mediante videoconferenza".

Ufficio stampa - Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale