Cinquanta senatori di trasversale appartenenza politica hanno firmato oggi un documento preparato dal senatore Francesco Russo, propedeutico ad un emendamento alla Legge di Stabilità e mirato a dire "no" al porto offshore di Venezia in favore di progetti integrati che potenzino tutte le strutture logistiche e portuali già esistenti nell’Alto Adriatico, in particolare Trieste, Ravenna e, naturalmente, anche Venezia.
Si tratta di UN’IPOTESI (REALISTICA) DI RILANCIO DELLA PORTUALITÀ ITALIANA, che si sofferma in particolare sull'ALTO ADRIATICO.
Nell'ambito del dibattito costruttivo che Adriatic Sea Network propone sulle tematiche che riguardano lo sviluppo dei traffici in Alto Adriatico, pubblichiamo il testo integrale del documento.
 

UN’IPOTESI (REALISTICA) DI RILANCIO DELLA PORTUALITÀ ITALIANA
Questa analisi non può che partire dalla constatazione che, negli ultimi anni, la crisi economica ha modificato radicalmente lo scenario dei traffici marittimi mondiali.
I flussi Far East – Europa che hanno alimentato per oltre venti anni una crescita pressoché ininterrotta dei traffici marittimi, sono in fase di rallentamento: nel 2013 il porto di Rotterdam ha movimentato il 2,1 % di TEU in meno rispetto al 2012.
È ormai dal 2003 che si è interrotto quel processo di crescita che aveva visto i porti mediterranei, ed in particolare quelli italiani, erodere quote di traffico a quelli del northern range.
 Da allora vi è stata un’inversione di tendenza ed i porti del Nord hanno recuperato traffico, anche destinato direttamente al nostro territorio.
Il gigantismo navale, che nasce dalla esigenza di creare economie di scala per le grandi compagnie di linea, ha ulteriormente modificato il quadro, producendo alcuni fenomeni importanti:
• alleanze commerciali fra le compagnie più grandi (prima P3, oggi M2), per cercare di limitare i danni dell’eccesso di stiva;
• riduzione del numero degli scali, congestionamento dei porti, ritardi nelle toccate;

• concentrazione oligopolistica dei vettori con conseguenti forti preoccupazioni dei caricatori europei;

• pressione sui costi portuali data la riduzione dei margini dovuti alla caduta dei noli.
Di conseguenza i vettori navali scaricano la loro ricerca di economie di scala nel trasporto marittimo sul sistema terrestre, in particolare sul segmento portuale che, a causa delle pressioni sui costi, vede sempre più ridotti i margini di profitto.

Secondo uno studio della Ocean Shipping Company, che stima la domanda di movimentazione container fino al 2018 nei porti italiani, rapportati alla capacità potenziale, la previsione per il 2014, in termini percentuali di saturazione dei terminal è del 57 % per tutta l’Italia.

Sempre secondo lo studio citato, l’aumento di traffico dei terminal, nello scenario più ottimistico, rapportato alla capacità potenziale, porterebbe, nel 2018, a scendere ad una quota di saturazione del 52% (calcolo elaborato in base alle opere in corso di realizzazione).

Quali allora, nel medio periodo, le priorità effettivamente sostenibili sotto il profilo finanziario e dei traffici?
Il mare Adriatico si dimostra un’area particolarmente ricca di opportunità che va ad incrociare, come grande via d’acqua, importanti corridoi pan-europei e si trova nelle vicinanze di retroterra industriali ed urbani mitteleuropei che possono essere maggiormente contendibili, per i porti italiani rispetto ai retroterra europei del fronte portuale tirrenico.

L’analisi dei traffici container ci dice che nel 2013 i tre porti principali del Nord Adriatico (VE-TS-RA) hanno realizzato un incremento medio del 7%.
 Ad oggi (dati 2013) i porti NAPA (North Adriatic Port Authority), quindi inclusi Koper e Rijeka, movimentano circa 1.800.000 teu.
I lavori in corso di effettuazione o che saranno effettuati nel breve periodo, secondo i piani regolatori vigenti, prevedono espansioni della capacità fino a raggiungere 1,2 milioni di teu per Trieste, 1 mln per Venezia, 600.000 per Ravenna, 1 milione per Rijeka, 1,8 milioni per Koper sia pure in due fasi.
 Ciò significa una potenzialità nei porti NAPA, secondo progettualità già in essere o lavori in corso, per complessivi 5,6 milioni.

Per quanto attiene i fondali, Trieste si attesta su profondità fino a 18 mt, Ravenna prevede di raggiungere i 14,5 mt, mentre Venezia si attesterà sui 12 mt.
In questo contesto si inserisce il progetto del porto “off-shore” di Venezia che, fin da una prima analisi, presenta problematiche sia dal punto di vista del mero impatto ambientale, in una zona dove già le attività di realizzazione del MOSE hanno avuto importanti ricadute, ma soprattutto di scarsa solidità finanziaria dell’operazione. L’ipotesi attualmente in campo, infatti, non sembra rispondere adeguatamente alla domanda sul perché le società di trasporto dovrebbero preferire una soluzione che, nella sostanza, le costringerebbe ad effettuare due volte le operazioni di carico/scarico (la cosiddetta doppia rottura). Sono addirittura state ventilate ipotesi di costruzione di un viadotto stradale dal porto “off-shore” alla terraferma che, quand’anche superasse le remore di carattere paesaggistico, avrebbe dei costi di realizzazione e manutenzione molto elevati. Peraltro ipotesi basilare del progetto era che la diga foranea di affiancamento alla struttura dell'“Off-shore”, dai costi ingenti, sarebbe stata fatta dal Consorzio Venezia Nuova nell'ambito del progetto Mose che, attualmente, non è ancora chiaro come verrà gestito e con quali prospettive. 
Anche i costi di personale ipotizzati, 510 persone nella fase di partenza e 1.515 persone a regime con un costo che, assumendo un costo medio di 30.000/anno/persona, si può
tranquillamente ipotizzare sopra i 450/500 milioni all'anno cosa che renderebbe un “project financing” coperto dalle mere tariffe sicuramente fuori mercato.

I costi previsti inizialmente erano pari a 4 miliardi di euro scesi, secondo indiscrezioni di stampa più recenti, a 2,5 miliardi: i tagli sono sicuramente figli dei dubbi già espressi dalla BEI (Banca Europea Investimenti) che ha pure messo in evidenza la eccessiva esposizione al debito (circa 200 milioni) che l’Autorità Portuale di Venezia aveva già nel bilancio 2011.


Da questo insieme di dati vorremmo trarre alcune conclusioni:
• La geografia dei traffici è in mano ai grandi carriers multinazionali ed occorrono politiche comunitarie e nazionali, oltre a politiche commerciali dei porti (concessioni, joint ventures, etc.) in grado di evitare una spirale negativa fra la corsa del gigantismo navale e la dispersione di risorse pubbliche per costruire infrastrutture prive di reali prospettive di traffico.
• Occorrono norme di semplificazione per le opere, ed in particolare i dragaggi, affinché le opere pianificate siano effettivamente realizzate secondo tempi compatibili con le esigenze del mercato dei traffici. I dati recenti della Corte dei Conti sulle opere effettivamente realizzate nei porti rappresentano un grave campanello d’allarme per tutto il sistema portuale italiano.

La vera priorità del sistema sono gli investimenti nelle ferrovie. Pensare di gestire navi da 10.000/11.000 teus con ferrovie inefficienti significa vanificare ogni investimento cin infrastrutture ed equipment. Per questo occorre concentrare risorse sulle ferrovie, in particolare sull’ultimo miglio (collegamento diretto con le banchine per minimizzare i costi delle manovre) e poi investire sui servizi ferroviari cargo, anche, per un certo periodo con forme di sostegno ai costi del servizio. Il grave deficit delle ferrovie italiane non è infatti sul piano infrastrutturale. Se non si amplia drasticamente la quota di container movimentati via ferrovia, pensare ad una competizione sulle aree europee contendibili appare illusoria. Le nuove Autorità portuali e logistiche che potrebbero nascere dalla riforma della legge 84/1994, potrebbero giocare un ruolo importante sotto questo profilo.

• È indispensabile giocare fino in fondo la sfida dell’innovazione tecnologica con investimenti anche nelle infrastrutture immateriali. Occorre portare a compimento la politica degli sportelli unici (doganale e delle informazioni marittime) ed adottare ogni soluzione per fluidificare il transito delle merci nei nostri porti. Aumentare i poteri di coordinamento delle Autorità Portuali, ad esempio sugli orari e sul funzionamento dei diversi enti di stato che operano in porto, dando anche la possibilità di utilizzare risorse rivenienti dall’autonomia finanziaria per adottare miglioramenti organizzativi e strutturali rappresenterebbe un grande passo in avanti per la competitività dei porti.

• In ultimo ma non per importanza, bisogna investire sulle risorse umane. Lavoro, formazione e sicurezza sono la chiave della qualità e della competitività. Per questo si deve innovare e rafforzare anche l’impresa articolo 17 sul modello delle più avanzate esperienze nord europee.

L’attuale congiuntura internazionale sconsiglia, perciò, nel medio periodo, l’adozione di progetti ulteriormente espansivi rispetto a quelli già previsti dalle pianificazioni in essere; in particolare appare particolarmente azzardata l’ipotesi della costruzione del terminal container off-shore di Venezia per un costo di 2,1 miliardi di euro e di un impegno finanziario dello Stato in tal senso. Tale progetto, sul quale tutti gli operatori (terminalisti ed armatori) esprimono forti perplessità, sarebbe caratterizzato, come detto, da una rottura di carico che, per effetto del sistema di trasbordo dei container su chiatte per raggiungere il piazzale a terra, comporterebbe costi aggiuntivi per almeno 250 USD in un contesto caratterizzato da noli molto bassi. Vi è poi una palese insostenibilità finanziaria sia per la finanza pubblica che per un eventuale investimento privato: calcolando un margine destinato all’ammortamento dell’opera pari a 10 USD a container (stima decisamente ottimistica) l’investimento di oltre due miliardi potrebbe ammortizzarsi in 100 o 200 anni a seconda che un simile terminal movimentasse 1 milione o 2 milioni di teus all’anno. Simili previsioni di traffico, non appaiono suffragate da nessuna ipotesi realistica: il traffico “italiano” che oggi transita per i porti del nord Europa non raggiunge certamente il milione di teus (molti stimano in non più di 600.000). Tenuto conto, inoltre, degli investimenti in corso nei porti di Genova (Calata Bettolo), Savona Vado (Piattaforma Maersk per 400 milioni di investimento) e quelli previsti a Livorno (Darsena Europa) oltre ai 190 milioni per l’ampliamento del molo VII a Trieste - dove già i fondali possono permettere l’approdo di navi porta container oltre i 13.000 teus - si evince che il progetto di porto offshore a Venezia risulta semplicemente insostenibile.