FONTE: SRM

La prima edizione del Rapporto Annuale Italian Maritime Economy è il frutto delle attività connesse al nuovo portale di SRM: l’Osservatorio Permanente sull’Economia del Mare, www.srm-maritimeconomy.com. Il Rapporto raccoglie infatti il meglio dell’attività di monitoraggio realizzata dall’Osservatorio nel 2014 e fornisce un quadro dettagliato dello scenario mondiale ed europeo in cui ci stiamo muovendo. Nello specifico una prima parte del volume - a carattere congiunturale - offre analisi e statistiche sulle infrastrutture, sulle imprese e sugli indicatori più significativi dello stato di salute di questo comparto in relazione al contesto internazionale. Qui sono ospitati i sentiments degli opinion leader soprattutto sul ruolo del Mezzogiorno. La seconda parte contiene invece contributi tecnici che arricchiscono il volume su temi di grande attualità come lo Short Sea Shipping, il gigantismo navale e le alleanze tra i grandi carrier. Di seguito alcuni dei numeri e dei concetti del rapporto.

1. Gli scenari economici e la competizione

Gli scenari economici del rapporto indicano per il nostro Paese rischi ed opportunità.
Il primo fattore di cui tener conto è rappresentato dalle infrastrutture portuali: l’Italia ha un importante dotazione che riesce ad accogliere 477 milioni di tonnellate di merci, tra cui oltre 10 milioni di TEU, un quantitativo che ci attesta al terzo posto in Europa; proprio in termini di container siamo tornati nel 2013, dopo quattro anni, ad oltrepassare la soglia della doppia cifra ma non ancora riusciamo ad attestarci sui livelli pre-crisi del 2008 (10,5 milioni di TEU).
Rimane ancora il comparto delle rinfuse liquide la tipologia di merce che caratterizza maggiormente il nostro sistema portuale, rappresenta il 40% circa del traffico totale.
In questo contesto è importante il ruolo del Mezzogiorno che, tra l’altro, dispone dei tre porti hub (Gioia Tauro, Taranto e Cagliari) e di altre realtà polifunzionali che hanno una movimentazione merci di rilievo. Il Sud rappresenta il 50% circa delle tonnellate di merci che attraccano nelle nostre banchine.
A questi numeri che danno l’idea del peso che ha il nostro sistema marittimo in termini infrastrutturali si contrappongono dati che lasciano riflettere sul futuro della nostra economia marittima.
Il primo fenomeno è rappresentato dal fatto che solo il 6,3% dei volumi che transitano per Suez giungono in Italia a causa dei ritardi e delle incertezze sui tempi di transito delle merci. Ciò si traduce in una perdita sia in termini di redditività per l’imprenditoria locale sia in termini di benefici per lo Stato.
Una seconda riflessione è indotta dal fatto che il volume di merci con origine/destinazione in Italia che transita per i porti del Nord Europa ammonta a circa 440 mila TEU e molte aziende nazionali scelgono gli scali esteri per la movimentazione dei loro carichi.
Ultimo fenomeno messo in rilievo dal report è rappresentato dal fatto che è in corso ormai da anni il gigantismo navale; esso va a sommarsi ad un altro elemento che andrà via via modificando gli assetti della portualità europea e mondiale: le grandi alleanze navali; tra queste la P3 Network (Maersk, MSC, CMA CGM) che ha recentemente avuto il via dalla Commissione Europea per gli aspetti relativi alla concorrenza ed ha in progetto l’avvio dei servizi navali entro il prossimo autunno. Saranno mese in campo 255 navi per un totale di stiva di 2,6 milioni di teus.

Ma anche altri grandi carrier avanzano e hanno in corso di realizzazione (o hanno già realizzato) importanti accordi, ad esempio: COSCO-China Shipping, Hapag Lloyd-CSAV ed altri. Ciò comporterà navi sempre più votate all’ottimizzazione del carico e sempre con maggiori esigenze di mezzi di imbarco e sbarco rapidi ed efficienti a terra; di fatto non sarà solo una questione di poter disporre di banchine e di fondali (cosa già complessa di per sé) ma di poter avere un sistema logistico pronto ad accogliere questi grandi mezzi navali e di rispondere alle loro esigenze.

Il rapporto annuale effettua un’analisi del contesto competitivo nel quale si colloca il sistema portuale italiano, in relazione ai grandi scali del Nord Europa, dell’Europa mediterranea e ai mercati del Nord Africa e dell’East Med.
L’analisi parte dal LPI-Logistics Performance Index della World Bank per inquadrare il nostro posizionamento in termini di efficienza.
L’Italia rispetto a due anni fa (i dati della Banca Mondiale escono ogni due anni) ha guadagnato 4 posizioni passando dal 24° al 20° posto. Ma, come accade ormai da anni, è sempre dietro i principali competitor marittimi: Germania (salita sul trono), Olanda, Belgio, Francia e Spagna. Per il nostro Paese è indicato un sensibile miglioramento in termini di tracciabilità delle merci spedite.

Con riferimento alla movimentazione container, il Northern Range continua a mantenere un ruolo forte nonostante si sia assistito ad una riduzione della sua quota di 4 punti percentuali (dal 46% del 2008 al 43% del 2013), a fronte di una significativa crescita dei porti mediterranei (dal 35% al 39%) grazie allo sviluppo degli scali dell’East Med e alla realizzazione di nuove strutture nei paesi nordafricani; la quota di mercato dei porti del Mediterraneo occidentale si mostra stabile.
Da segnalare la forte crescita della Turchia: al 1° trim. 2014 ha registrato un +11,7% rispetto allo stesso periodo del 2013. Sono sempre Rotterdam, Anversa, Amburgo e Marsiglia i porti che hanno maggiori capacità ed efficienza come dimostrano anche i dati sulla movimentazione merci (sono i primi 4 porti europei).
Se viene considerata, invece l’analisi limitandosi ai porti hub container, viene sempre in evidenza la crescita di Tanger Med già dal 2005 con una sensibile quota di mercato hub (+10%) insieme ad altre tre realtà che stanno marciando a ritmi molto sostenuti: Valencia (quota di mercato 17%), Algeciras (17%, pur avendo perso qualcosa negli anni) ed il Pireo (12%).
In termini di tipologia di trasporto, lo Short Sea Shipping è un comparto che vede l’Italia leader assoluto in Europa nel Bacino del Mar Mediterraneo e del Mar Nero, davanti a Spagna e Grecia che pur hanno puntato in modo significativo sullo sviluppo del settore; con 213,3 milioni di tonnellate l’Italia è il primo Paese nell’UE 28 per trasporto di merci in Short Sea Shipping nel Mediterraneo (37% del totale). L’Italia ha il primato anche nel Black Sea con 33,5 milioni di tonnellate (26,3%).
Le capacità del nostro sistema armatoriale e la nostra flotta molto orientata verso questo tipo di navigazione hanno consolidato questa posizione. Il Mezzogiorno con i suoi porti fornisce inoltre un contributo importante rappresentando oltre il 70% delle Autostrade del Mare italiane. È questo un comparto su cui possiamo e dobbiamo puntare per assicurare al nostro Paese un ruolo sempre più importante nel Bacino MED. I nuovi mercati e le economie nordafricane rappresentano sempre di più un’opportunità da cogliere per le nostre imprese ed un sistema Short Sea forte al loro servizio può contribuire allo sviluppo di intense relazioni internazionali.

2. Le relazioni marittime

Il Rapporto ha anche realizzato un’analisi dell’import-export marittimo del nostro Paese; da questa emergono delle importanti evidenze:

• L’Italia importa ed esporta nel mondo complessivamente 230 miliardi di euro di merci, di queste oltre il 30% viene trasportato per via marittima;
• Se consideriamo i Paesi del Mediterraneo (focalizzandoci su Nordafrica e Turchia), per i quali l’Italia è tra i principali partner commerciali, la quasi totalità del traffico è rappresentata dal trasporto marittimo;
• Il Mezzogiorno, invece, ha un interscambio commerciale in cui la modalità marittima è quella in assoluto più utilizzata con il 63,1%, per un totale di oltre 60 miliardi di euro.

L’analisi dell’export marittimo a livello regionale mostra il “tasso di dipendenza” delle nostre regioni dal trasporto marittimo specie per quanto riguarda il sostegno all’internazionalizzazione dei sistemi produttivi territoriali. Osservando i soli flussi di export, a livello regionale, è stato, inoltre, possibile vedere come il commercio di alcuni territori “dipenda” significativamente dal trasporto via mare con valori che superano il 40% per la Campania e il 50% per la Liguria. Emilia Romagna e Basilicata superano, invece, il 30% (media Italia 27,7%).

3. Le aree di densità logistica e concentrazione portuale

Il Rapporto realizza un’analisi rivolta ad individuare le aree di densità logistica e concentrazione portuale; si tratta di un lavoro effettuato con l’obiettivo di determinare i punti di forza delle regioni italiane in termini logistici tenuto conto di 8 parametri fondati sulla presenza di imprese, infrastrutture, fatturato e progettualità, nonché della presenza di aree portuali con un’importante movimentazione.
Il risultato finale è stata la definizione di una mappatura che definisce, sulla base degli indicatori prescelti, la caratterizzazione fisica della logistica e del settore marittimo del nostro Paese:
Tra queste regioni spiccano la Campania e la Puglia che hanno una “densità” marittima e logistica importante.
L’obiettivo è anche quello di poter offrire una visione strategica del Paese tenendo conto che siamo alle porte della programmazione 2014-2020 e che quindi oltre 30 miliardi di euro di risorse UE convoglieranno nei nostri territori; e oltre 23 miliardi interesseranno il Mezzogiorno.
La scorsa programmazione che pure destinava oltre 3 miliardi di euro al settore dei trasporti, ha avuto comunque una lentezza strutturale nell’utilizzo dei fondi che comunque sono stati limitatamente diretti al settore marittimo (13,8%) ed all’intermodalità. Problematiche di vario ordine non hanno consentito a questi fondi di sortire gli effetti sperati e nella prossima programmazione se ne auspica un utilizzo più mirato ed efficiente, verso progetti che possano realmente creare sviluppo ed occupazione.

CONSIDERAZIONI FINALI

Il rapporto pone l’accento su due concetti; il primo deriva dal particolare momento economico che sta vivendo il nostro Paese in cui viene richiesta alle imprese una forte spinta all’export ed all’internazionalizzazione dei nostri prodotti e servizi; il secondo solleva l’urgente problematica del potenziamento e del rilancio della competitività del settore marittimo, in testa le infrastrutture.
Volendosi soffermare sul primo assunto occorre specificare che promuovere l’export non vuol dire soltanto spingere l’acceleratore sugli incentivi agli investimenti; esportare e rendere un sistema internazionale vuol dire anche dare alle aziende un solido supporto logistico che possa dare rapidità ed efficienza nel far viaggiare le merci, magari anche sottoponendole a cicli di lavorazione in viaggio, nonché assicurare l’espletamento dei numerosi adempimenti burocratici ed amministrativi che sono connessi all’attraversamento da un Paese all’altro.
Il mondo è davanti ad un cambiamento di scenario, per la verità già annunciato, un cambiamento che vede navi sempre più grandi che già attraccano in porti come Southampton, Amburgo, Pireo, Tanger MED e che invece nei porti italiani vengono sostituite da servizi feeder (navi più ridotte) il che comporta meno possibilità di sviluppo, meno relazioni internazionali, meno merci ed anche meno servizi per le imprese.
Va anche avanzando il grande business dei “terminalisti” sempre alla ricerca di spazi portuali, sempre a perfezionare i meccanismi di innovazione logistica ed a stipulare accordi con i grandi carrier per aggredire con grandi joint venture i Paesi più appetitosi dal punto di vista produttivo; il Marocco fa scuola quando decide di investire 560 miliardi nella sua portualità; nondimeno il Brasile e la Turchia con piani di investimento che mostrano piena coscienza della conoscenza dei fenomeni che stanno accadendo, senza citare gli ormai maturi Rotterdam, Amburgo, Brema, Amsterdam, Anversa, Marsiglia. I nostri competitor commerciali insomma.
Internazionalizzare un sistema vuol dire garantire al sistema stesso quell’armatura infrastrutturale che dia alle imprese la certezza dei tempi e l’assicurazione di trovare nel Paese di sbocco una serie di servizi di grande qualità, tra questi i servizi connessi al mare. Al Mediterraneo.
Il secondo assunto induce ad una riflessione; l’Italia dispone di una serie di porti che, nonostante una normativa (che a suo tempo diede ottimi risultati) che risale a vent’anni fa, ed a una programmazione dello sviluppo portuale e marittimo forse mai (o parzialmente) avvenuta per varie cause, riescono a non cedere. Ma “non cedere” non basta, occorre avanzare e rendersi competitivi e questo lo si può fare, secondo la ricerca di SRM, agendo su alcune leve che non necessariamente vanno a insistere sulla finanza.
La prima è quella di assicurare al sistema una continuità di programmazione. Definire i porti strategici (che non vuol dire eliminarne altri) e definire i progetti per i porti hub ed i porti polifunzionali, e con la definizione della strategia ovviamente anche una adeguata pianificazione finanziaria: se le risorse sono poche occorre ancor di più mirare ad un utilizzo che dovrebbe rasentare la perfezione in termini di ritorno dell’investimento.
L’Italia ha anche eccellenze logistiche che avrebbero bisogno di un grande snellimento burocratico ed anche spesso di avere un chiaro libretto delle istruzioni su quanti e quali controlli le nostre merci debbono avere e quanti sono i giorni necessari per far si che la merce possa viaggiare senza arenarsi.
Rimane il gigantismo navale ed anche qui una riflessione è da fare; se la P3 network ha individuato 5 porti italiani da scalare è certo che ci sarà un motivo, dovuto evidentemente alla necessità di individuare delle destinazioni che possano offrire almeno in prospettiva, alle navi un porto sicuro. E ricordiamo che tra questi porti ci sono, oltre che Genova, Trieste e La Spezia anche NAPOLI e Gioia Tauro; la speranza è che ciò che auspica la P3 possa diventare uno stimolo per i nostri porti.
In tutto questo il Mezzogiorno con il suo 63% di export marittimo ed il suo 50% del traffico italiano movimentato non può non dire la sua, quest’area è ormai acclarato dispone di capitale umano (è questo è un punto vincente) marittimo, infrastrutture ed imprese ed è da queste che occorre iniziare.
Non ultimo ma il problema finanziario esiste. I fondi comunitari possono sicuramente rappresentare una riserva di energia per far ripartire il sistema, a questi possono aggiungersi il Connecting Europe e gli Investimenti attesi sulle TEN-T ma che poi si debba essere in grado di competere da soli è una necessità imprescindibile.