In questi giorni prossimi parrebbe si giochino alcune partite strategiche sulla portualità del Nord Ovest e del Nord Est: è utile quindi ricordare alcuni elementi tanto ragionevoli, a prescindere dalle divisioni della politica, quanto destinati a restare ignorati. Il punto di partenza è dato dalla sostanziale irrilevanza della portualità nazionale rispetto alla politica dei trasporti europei: addirittura appena pochi giorni orsono autorevoli personalità della politica non hanno esitato a considerare un successo che il Mediterraneo occidentale nel 2020 avrebbe mosso addirittura 3 milioni di Teu (!) mentre il Nord Adriatico, forse, sarebbe arrivato, ma grazie al contributo decisivo e soverchiante di Capodistria, a 1,5-2 milioni. In breve, insieme tutto il Nord Ovest ed il Nord Est, la "portaerei protesa nel Mediterraneo" sostenuta dal "Sistema" dei porti liguri, da Slala e dal Napa, avrebbe movimentato, forse, meno della metà della sola Rotterdam!

L’alleanza con le grandi centrali di traffico
. Ferma restando la drammatica situazione della portualità nazionale, non vi è dubbio che l’unica speranza, per un turnaround (al quale peraltro nessun indicatore internazionale mostra di credere), è costituita da una forte alleanza fra operatori di traffico (compagnie marittime e ferroviarie), industria, finanza e territori per localizzare in una o due basi mediterranee traffici che oggi sono localizzati a Rotterdam, Anversa e Amburgo. Ed al riguardo un terminalista indipendente, non detentore cioè di traffico proprio, non riuscirebbe a traguardare siffatto obbiettivo potendo semmai, in virtù della sua efficienza, conseguire aumenti fisiologici annuali non significativi.

Per recuperare occorre, in sostanza, che i grandi vettori (due o tre), d’intesa con i principali attori della finanza internazionale e con l’industria, ma specialmente con il supporto strategico delle regioni e dei comuni interessati, accettino di localizzare nei porti corridoio mediterranei (Genova - Savona e Trieste/Capodistria - Monfalcone) quote significative di traffico oggi servito altrove allo scopo di accelerare la realizzazione delle infrastrutture indispensabili.

Due grandi basi logistiche competitive sul Corridoio 24 e sul Corridoio Adriatico baltico. Occorre quindi si creino non quattro o cinque, e tantomeno venticinque o trentacinque, ma una o due basi terminalistiche, eventualmente supportate da retroporti, competitive con i porti del Nord Europa e servite da infrastrutture di eccellenza e, specialmente, da servizi ferroviari di assoluta efficienza ed in grado di puntare al centro dei principali mercati (la pianura Padana, la Baviera ed il Baden Wuttemberg, il Centro Europa).

Qualunque scelta di politica dei trasporti che premiasse, invece, la nozione di "sistema" (inteso, non nella logica della regolazione, ma in quella perversa ed antieuropea della redistribuzione del traffico), contrasterebbe con l’obbiettivo di scegliere il vero hub di riferimento. Non scegliere e considerare che "piccolo è bello", e che "tutti insieme si fa concorrenza ai porti del nord Europa", oltre che un pò stupido, è fallimentare (ed è la ragione del disastro di oggi). E vero che il nostro Paese, quando si tratta di scegliere, specie nei trasporti, non ci riesce per la presenza di piccoli interessi consociativi e spesso di una politica inadeguata: ma allora occorre prendere atto che la sfida dei traffici è inevitabilmente persa e concentrarsi su altro.

Il finanziamento delle infrastrutture necessarie. Nessun problema se lo Stato ha le risorse per costruire porti e corridoi per lanciare la sfida ai porti del Nord Europa, ammesso che questo obbiettivo sia effettivamente voluto, costruendo i Corridoi Genova-Rotterdam e Adriatico-Baltico ed i terminali che li sostengono. Probabilmente si tratterebbe di una scelta non gradita all’Unione Europea (alla luce dei recenti orientamenti in materia di aiuti di Stato), ma allo stato il diritto comunitario della concorrenza la rende ancora fattibile. Ma se il Paese non dispone di quei 40 miliardi necessari per fare tempestivamente (e non nel 2033 come si prevede oggi) le infrastrutture necessarie (Terzo Valico, Trieste Lubiana, Monfalcone Tarvisio) le principali banche ed i fondi internazionali sono pronti a sostenere lo sviluppo anche in Italia. Perché questo intervento si realizzi senza garanzia dello Stato occorrono queste condizioni:

a) Una forte alleanza, appunto, fra traffico, finanza e industria con la regia del pubblico, perché sia il traffico a sostenere la crescita ed a consentire la realizzazione delle infrastrutture necessarie evitando investimenti senza un ritorno adeguato.

b) Il rispetto rigoroso del diritto della concorrenza e dei principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento. E da escludere che investimenti privati possano essere posti in essere se lo Stato non si impegna (a) a non finanziare in misura eccedente infrastrutture concorrenti collocate nello stesso mercato rilevante e (b) a non compiere e sostenere scelte di politica dei trasporti alternative. Ed anche sotto il profilo della "concorrenza nei porti" (aiuti e forme di collusione), del mercato interno e della trasparenza le vicende recenti insegnano che le Autorità locali molto spesso non sono in grado di fare rispettare, ne di rispettare esse stesse, le regole in tema di governo del mercato. Un mercato di "furbi", pasticciato e colluso, respinge, in breve, i traffici ed i finanziamenti privati.

c) Le regole attuali sui lavori pubblici non consentono di intervenire a breve. Occorre un intervento immediato, anche attraverso il ricorso a Commissari straordinari muniti di poteri in deroga. Siamo così indietro che occorre recuperare e presto: anche a costo di forzare sui principi.

d) Vanno da ultimo premiati gli investimenti nei territori che "vogliono sviluppo". In questo senso il federalismo infrastrutturale, come criterio di selezione degli investimenti, è molto utile se il concetto non si traduce, come accade, in una sorta di salvacondotto per la violazione delle regole.

In breve, se lo Stato ha le risorse (cosa di cui vi è da dubitare) o non avverte la necessità di un intervento infrastrutturale perché non lo ritiene utile o possibile (e questo forse è il punto), quanto sopra prospettato è inutile. E forse sarà così, come sempre. Ma dobbiamo abituarci, allora, ad un paese ormai marginale e poco competitivo nel campo della logistica. Senza mugugnare troppo. E, specialmente, senza raccontarcela con Piani della logistica, Slale, Sistemi e Nape vari.

Maurizio Maresca
docente universitario ed esperto di politiche dei trasporti